La decadenza italiana in Formula 1

C’è chi è amante della moda, ma non sa disegnare abiti. C’è a chi piace la musica, ma non sa mettere un disco. C’è chi sa mangiare, ma non sa come cucinare un uovo al tegamino. Molti esempi, banali, che fanno realmente capire la crisi italiana in Formula 1. Il Paese dei motori che, da molti anni, non riesce a sfornare talenti in grado di entrare a far parte del Circus. Un paradosso, non credete? C’è chi se la prende con gli sponsor. Chi con le decisioni dei vari team che, dopo alcune valutazioni, decidono di puntare su piloti stranieri. Fatto sta che, dalla stagione 2012, la Formula 1 non annovera tra le proprie file un ragazzo con il sangue tricolore. E non importa di chi è la colpa. Evidentemente, negli anni scorsi, si sono commessi errori su questo campo. Anche se la “valigia” ha avuto il suo peso…

Gli ultimi piloti “nostrani” a disputare un’intera stagione di F1 sono stati Jarno Trulli e Vitantonio Liuzzi, rispettivamente su Lotus e Hrt, non propriamente scuderie in lotta per il titolo. Era il 2011, un tempo lunghissimo se si considera che, da quel momento in poi, per gli italiani è stato un vero e proprio disastro. E gli anni ’80-’90, anni in cui l’Italia faceva la parte del leone, sono maledettamente lontani con quel pizzico di nostalgia che fa sempre male.

Negli ultimi undici anni, così, i già citati Trulli e Liuzzi sono stati accompagnati da Giancarlo Fisichella, attualmente alla guida della Ferrari-AF Corse nel Campionato del Mondo Endurance. Il pilota romano, tra le altre cose, è l’ultimo italiano ad aver vinto un Gran Premio di Formula 1. Lo fece nel 2006 con la Renault sul circuito di Sepang, in Malesia, precedendo l’allora compagno di squadra, Fernando Alonso, e Jensun Button. Poi stop. Nemmeno un urrà, con tanti saluti alla gloria del Belpaese.

Eppure, nell’altro sport motoristico per eccellenza, la MotoGP, ci sono tantissimi italiani che danno spettacolo a ogni gara. Accade sistematicamente nella Moto2, Moto3 e nella classe regina, con Valentino Rossi che, nonostante la sua età, è considerato il professore delle piste. Nei mesi scorsi, i vari Davide Rigon, Davide Valsecchi e Raffaele Marciello hanno assaggiato il brivido della F1 come collaudatori, ma a causa di disposizioni delle scuderie di appartenenza non hanno, poi, trovato continuità. E la Ferrari, il team italiano più famoso del mondo, proprio per far terminare questa agonia che dura da troppo tempo, ha pensato bene di fondare la “Ferrari Driver Academy”. Così, uno dei pochi programmi per lo sviluppo e la crescita dei giovani piloti presenti in Italia, diventa fondamentale per la ricerca di talenti in grado di diventare i campioni del futuro.

Tra questi c’è il calabrese classe ‘96 Antonio Fuoco. A molti addetti ai lavori, dopo una straordinaria stagione nel 2013, il giovane pilota ha ricordato i talenti del passato. Ma occhio a fare paragoni che, alla lunga, potrebbe risultare scomodi. Fuoco, tuttavia, grazie alla sua bravura, ha attirato l’attenzione dei dirigenti del Cavallino Rampante, guidando la Rossa SF16-H nel 2015, subito dopo il Gran Premio di Spagna. Ad oggi, è lui la speranza italiana per il futuro della Formula 1, ben abituata ad ammirare piloti del calibro di Nannini, Patrese, Merzario, Regazzoni (svizzero, ma adottato in Italia) Alboreto e De Angelis. Senza dimenticare campioni come Farina e Ascari, vincitori degli ultimi titoli con la bandiera tricolore sul casco negli anni ’50.

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